The Lucksmiths: the music next door

 

 

Lucksmiths sono quel tipo di gruppo capace di creare un rapporto così personale con il proprio pubblico che il piacere di ascoltare un loro nuovo album è sempre accompagnato da un vago senso di colpa per non averne sentito di più la mancanza. “It might have been the music from next door/Reminded me I should have missed you more/A song I’ve heard a hundred times before” scrive infatti Marty Donald con la consueta leggerezza tragica in The Music Next Door, seconda traccia del nuovo album Warmer Corners. Come a dire, la poesia è racchiusa lì, nel senso di cui si riempiono le cose attorno a una assenza. Sembrerà anche poco, e del resto anche due punti su un atlante distano due dita come cantavano ormai otto anni fa, ma bisogna essere capaci di raccontarla, quella distanza, nei tempi stretti del twee pop.
E i Lucksmiths sono ancora maledettamente bravi in questo.

Li incontro tra un veloce sound-check e l’inizio del concerto, uno dei primi ad aprire il tour di presentazione di Warmer Corners. Siccome al Mojo’s di Freemantle non c’è backstage, ci sediamo semplicemente nel cortile dietro il locale, beviamo una birra, mentre la gente al tavolo da biliardo ride forte e dal soffitto pendono ancora luci natalizie. Mi domando se questo sia il posto più adatto per fare due chiacchiere con i Lucksmiths, o se magari preferirebbero un campo da tennis o una cucina. Così, per rompere il ghiaccio, lo chiedo a loro.

 

Tali White - The Lucksmiths

Tali: La situazione ideale per un’intervista con i Lucksmiths? Una birra nel cortile sul retro di un pub! O più scenografico, con il sole che cala sull’Oceano Indiano, ma di base questa è la quinta perfetta per un intervista con i Luckmiths. Non troppo formale, intendo.

Marty: A dire il vero, anche in cucina mi piacerebbe molto. Se avessi una cucina decente, sarebbe perfetto! Cosa ne dici di un campo da minigolf? Eravamo famosi per essere accaniti giocatori!

Una cosa che amo nelle vostre canzoni è il modo in cui cominciano. Ti senti invitata a entrare fin dal primo verso, coinvolta fin dall’inizio. Per fare un esempio, A chapter in your life… inizia con una domanda: sembra che non esista una divisione netta tra quello che state pensando di scrivere e quello che poi diventa canzone. È una cosa che fate di proposito?

Marty: Oh, questo è davvero carino. Succede tutte le volte che non ho davvero molte domande e mi viene da dire, oh, lo posso fare, mettere dei punti interrogativi, come se mi dimenticassi che questa è un cosa che si può fare in una canzone. E così, A chapter in you life... è un’unica grande domanda dopo una piccola domanda iniziale. Ma come in tutte le cose, se esageri, anche questa perde efficacia. Ma è un modo per coinvolgere l’ascoltatore in prima persona, ed è fondamentale pensare a chi ti ascolterà, quando scrivi. Nella maggior parte delle mie canzoni è il primo verso a mettere in moto il resto. È vero che non è necessario seguire un ordine particolare, ma il primo verso, quello, credo, deve puntare in una direzione.

Tali: In una canzone pop non puoi divagare molto, per via della lunghezza. Se riesci a coinvolgere dal primo verso puoi arrivare al punto davvero velocemente, senza bisogno di ricorrere a una ballata di sei strofe per costruire una vera scena.

Cosa cantate sotto la doccia?

Marty: Non canto sotto la doccia, credo di non averlo mai fatto.

Tali: Marty legge sotto la doccia. Hai presente, usa delle buste di plastica in cui mette i romanzi.

Nemmeno da soli in macchina? Faccio spesso questa domanda perché non ho ancora ottenuto una risposta soddisfacente, credevo che fosse solo perché ho sempre chiesto a band svedesi...

Marty: Bel posto la Svezia, l’unico in cui potrei vivere, a parte Melbourne! Gran gruppi, i Concretes, ad esempio ho davvero amato il loro disco. E nemmeno io sono uno che canticchia a dire il vero.

Tali: E non guidi nemmeno…

Marty: Già, non guido. È il momento di cominciare a cantare canzoni da macchina sotto la doccia.

Tali: Si, lo ammetto, canto sotto la doccia. Sono senza vergogna. Specie la mattina presto quando la mia voce è un po’ più bassa, e tendo a cantare “spirituals” neri, tipo Swing Low Sweet Chariot e tremendi jingle da pubblicità o robe degli Anni Trenta, cose sdolcinate e prive di gusto.

 

Mark Monnone - The Lucksmiths

Ho letto in giro che c’è qualcosa di malato nella vostra (e degli australiani in generale) ossessione per il tempo. Ma a colpirmi è di più l’attenzione che ponete nei particolari. So che suona come una affermazione e non come una domanda, ma vi riconoscete in questo?

Marty: Sì penso sia vero. È vero, e va notato che in Australia parliamo un po’ troppo del tempo. Ma è anche vero che delucidazioni su questa nostra abitudine arrivano per lo più da gente d’oltreoceano.

Tali: Gli australiani sono ossessionati dal tempo. A Melbourne specialmente. È un fatto che si ripercuote di continuo sulla tua giornata perché cambia costantemente e non puoi dire da un momento all’altro cosa succederà.

Mark (arrivando al tavolo in quel momento): Non starete mica parlando del tempo!

Marty: C’è una frase di Tom Waits che cerco di tenere a mente per quando mi si chiede del tempo. Dice che una buona canzone deve contenere il tempo, il nome di una città e qualcosa da mangiare.

Tali: Ciascuno di noi mette a fuoco diversi aspetti, diversi particolari, ma il tempo sembra essere il fattore che tiene assieme, unifica tutto. In generale, trovo più efficace ricordare le piccole cose piuttosto che il quadro di insieme. Ed è la combinazione di tutte queste che effettivamente dà un respiro più ampio a ciò che stai cercando di esprimere.

Mark: Microscopic pop!

Marty: Micropopic!

Con l’uscita del nuovo album Warmer Corners, e con l’inizio del tour sembra ufficiale che i Lucksmiths sono diventati quattro, è così? (Alla mia domanda, Tali, voce e batteria, Marty chitarra, e Mark basso del gruppo, scherzano sul fatto che Louis Richter, nuovo componente dei Lucksmiths, sia scomparso come al solito poco prima dell’intervista…)

Tali: Già, abbiamo avuto un bambino! Cerchiamo di tenerlo segreto come puoi vedere. È un tale meraviglioso chitarrista, gli lasciamo un po’ fare quel che vuole…

Marty: È davvero grandioso avere un quarto componente nel gruppo. Abbiamo sempre suonato con altra gente ma questa è davvero la prima volta che troviamo qualcuno con cui ci accordiamo perfettamente. In passato facevamo ogni cosa noi tre e poi pensavamo a come organizzare il resto. Con Louis è andata diversamente: è stato coinvolto negli arrangiamenti e reso partecipe nella scrittura delle canzoni, e questo ha davvero fatto la differenza ed è una delle cose che puoi decisamente notare in Warmer Corners.

 

Come è cambiato, se è cambiato il vostro live rispetto ad un tempo, tenendo conto dell’arrivo di Louis?

Marty: Non saprei dire. In realtà ci stanchiamo più facilmente in tour, immagino.

Tali: Tour più corti, musica migliore, meno attività fisica durante i tour. Facevamo un sacco di sport una volta.

Mark: Più business che divertimento! Prova a immaginare, andare nei pub, sederti, fare interviste, suonare, svegliarti coi postumi, dimenticare le cose a metà… ecco il tipo di cose che sono cambiate...

Tali: Grazie a Louis il suono è diventato più ampio, abbiamo molte più possibilità e così che anche le canzoni vecchie suonano molto più vicine a come potresti averle sentite su disco. E Louis ha questo modo davvero bello di aggiungere tipo archi e fiati o qualsiasi cosa.
Mark: Molto presto smetteremo di suonare del tutto e avremmo solo Louis a suonare per noi, e noi staremo sul palco, in piedi, a battere le mani e dire cose come “suonala Louis”. Questo è il futuro dei Lucksmiths.

Martin “Marty” Donald - The Lucksmiths

Come si è evoluto il vostro scrivere le canzoni in questi anni?

Marty: Ora prendo il fatto di scrivere più seriamente. Quando abbiamo cominciato coi Lucksmiths era qualcosa che amavo fare ma a cui non pensavo ossessivamente. Ho cercato di imparare di più al riguardo, e più provavo più capivo che nessuno ne sa veramente molto, e che è piuttosto difficile imparare qualcosa. Se hai continuato a fare per dieci anni una cosa non puoi che sperare di migliorare. E scrivere mi ha sempre preso molto tempo. Sono uno scrittore lento, e credo di essere diventato ancora più esigente. Più scrivi canzoni più diventa difficile non ripetersi, e ciò consuma tempo ed energie… Poi bisogna tenere conto anche delle influenze di altri gruppi: ascoltiamo moltissima musica, in continuazione. Quando ho cominciato a scrivere canzoni la maggior parte dei gruppi che mi ispiravano erano inglesi: The Smiths, The Housemartins, Billy Bragg… Ora i miei autori preferiti sono americani: Smog, Dave Barman e i suoi Silver Jews…

Tali: So che è un clichè per una band dire che il proprio ultimo disco è il migliore. Mi piacciono tutti i nostri ultimi quattro album. Ma di solito succede che quando finisci di registrare non ne puoi più, ti sei concentrato su un’unica cosa per così tanto tempo e non hai più voglia di riascoltarti. Con Warmer Corners è diverso: lo ascolto a casa, è il mio album preferito, ora.

C’è qualche band australiana che il pubblico italiano deve assolutamente conoscere? Che non sia su Candle Records o Trifekta o Lost And Lonesome (etichetta di Mark Mannone), solo perché che sappiamo già che The Bank Holidays sono grandiosi…

Mark: Ne esistono altre? Scherzo… Direi Architecture in Helsinki, ma sono sicuro che ormai li conoscono tutti. E i New Estate, da Melbourne, la loro etichetta si chiama W. Minc. Suonavano in gruppo chiamato Sleepy Township.

Marty: Art of Fighting.

Tali: New Buffalo.

Mark: Yeah, New Buffalo are great!

Marty: Machine Translations.

Se non suonaste in una band chiamata The Lucksmiths cosa fareste?

Marty: Al liceo dicevo che mi sarebbe piaciuto diventare un regista, forse avrei fatto quello.

Mark: Sarei stato un famoso pittore.

Marty: E da dove viene tutto questo improvviso talento?

Mark: Ho sempre avuto delle ambizioni, non le ho mai perse!

Tali: Io sarei stato una slavata star di soap opera, in un qualche ruolo secondario in una delle meno conosciute soap australiane. E poi sarei finito in qualche teatro di periferia.

Marty: È sempre una possibilità, amico. Mai dire mai.

A dire il vero non credo che ce ne sia bisogno alla vostra età…

Mark: Hey man, sei hai passato un decennio alla grande non mi sembra così tanto avere un po’ di segni attorno agli occhi, attorno al sorriso. Non si può sembrare giovani per sempre.


 

 

 

 

 

Laura Govoni
Si ringrazia per la collaborazione Terry Boyle
Perth, Maggio 2005

LINK:

The Lucksmiths

Losing Today magazine

 

 

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